lunedì 12 novembre 2012

Conosco una città.


Conosco una città che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento.
me ne sono andato una sera
nel cuore durava il limio delle cicale
dal bastimento verniciato di bianco
ho visto la mia città sparire
lasciando un poco un abbraccio di lumi
nell'aria torbida sospesi



Cara Anna,
prima ancora di prendere contatto con l'italia, io la conobbi nell'immaginazione fervida della mia infanzia nella suggestiva aureola che circonda l'esodo si andava maturando il mio amore per Lei. Anch'io un giorno sarei partita con quella Nave che avrebbe rese concrete le mie scorrerie fantastiche … Papà non volle andarsene per via della barca e della pesca, nonna per la casa, il suo regno... la amava con assoluto trasporto, proprio come io l'amo adesso che l'età è una cosa sola coi luoghi sono contenta di essere sicura di morire qua dentro, come fu contenta lei.

Cara Nelida,
ci imbarchiamo di sera. Di nuovo grigio, pioggia gelo, silenzio, scialli, ombrelli. Qualcuno per non pensare per non parlare, tira fuori le carte e una bottiglia di vino. I pensieri il dolore è troppo grande: c'è bisogno di alcool per farli tacere. E la notte stivati come sardine, in centinaia, uomini donne bambini che fingono di dormire, e fingono di non piangere, tutti resi uguali dallo stesso dolore, e dalla stessa paura...

Care Anna,
all'esodo eterno punto di riferimento, quello che separa il prima dal dopo, sono seguiti l'impreparazione al destino che ci ha colti, la morte delle cose, la desertificazione della vita, solo parole dall'altra lingua, parole che occupano tutto lo spazio sociale. E' come buttar sale in mare spender parole per far valere i proprri diritti. Un'ampia fetta di umanità è soggetta all'ubbidienza cieca a un costume implacabile, a leggi che non capisce affatto. Tutta la città è codificata nell'altra lingua, però, nella parte vecchia gli anziani hanno memoria della cittadinanza precedente, punto per punto, nella successione delle case, una partitura musicale di cui non si può spostare o cambiare alcuna scrittura stinta. Nel loro presente che non sa e non può dimenticare si ubiqua largamente il passato.

Cara Anna,
e, poi finalmente arrivano gli americani mamma, papà adesso è davvero finita la guerra?
Si adesso è finita, speriamo … e gli americani grandiosi nello stesso modo ad organizzare bombardamenti e feste, s'impegnano nelle pubbliche relazioni con la popolazione... i soldati ridevano e ci invitavano a sollevarci sulle punte dei piedi per arrivare ad addentare una mela, senza toccarla con le mani. E con loro ridevano anche noi bambini. E mangiavamo: le bocche, le guance, le mani finalmente sporche di zucchero, di cioccolata, di un orribile gelato troppo verde troppo rosso, troppo giallo.

Cara Nelida,
Oggi ho chiesto a mio padre: adesso che sono grande, spiegami quello che non mi hai spiegato da bambina, o che io non ho capito : che giorno era quando l'esercito slavo, alla fine della guerra, ha occupato la città di Pola ?. Mio padre mi ha guardato in silenzio, la sua espressione ha perso la serenità, gli occhi si sono oscurati... pensavo che non volesse parlare, poi invece ha iniziato: “sono arrivati :avevano ciabatte invece che le scarpe, trascinavano i piedi anziché sollevarli, chissà saranno stati stanchi. Venivano dalla Bosnia, dal Montenegro, si erano imposte marce forzate per occupare tutto il possibile prima degli americani... ebbi paura e decisi di tornare a casa: perchè vidi, insieme a loro, quelli che da sempre sapevo essere le spie, quel tipo di croati che sotto il fascismo erano sttai zitti senza protestare e nel frattempo andavano compilando le liste di coloro contro i quali vendicarsi. E tra questi c'erano si i funzionari fascisti, ma anche semplici impiegati del Comune, o commercianti. La colpa l'unica colpa era quella di essere Italiani, - e infatti subito dopo cominciarono: venivano di notte e prelevavano la gente. Ogni luogo, ogni casa aveva la sua vittima: ogniuno ha sentito, una notte o l'altra dei quarantacinque giorni di occupazione jugoslava, i colpi di quelli alla porta di quelli che bussavano per portare via qualcuno, e i pianti delle donne.




Cara Nelida,
Io nata a Pola in Istria. Alla nascita, una condizione borghese quasi felice. Poi la guerra, la fine della guerra, il Trattato di pace. E l'esodo. Insieme a trecentocinquantamila di cui si sono perse in larga misure le tracce, mentre il loro mobili, le stoviglie gli album di fotografie con la storia della loro vita e le innocenti scommesse fallite sul futuro, rimanevano a marcire nei silos a Trieste...  

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