domenica 16 dicembre 2012

CAFFE SAN MARCO TRST


La gente entra e esce dal Caffè, alle sue spalle i battenti della porta continuano ad oscillare, un lieve soffio d'aria fa ondeggiare il fumo stagnante. L'oscillazione ha ogni volta il fiato più corto, un battito cardiaco più breve.
Sul bancone rilucono le coppe di frutta e le bottiglia champagne, un abatjour rosso striato è un iridescente medusa in lato i lampadari splendono fluttuano come lume nell'acqua. La storia dice che il San Marco è stato aperto il 3 gennaio 1914 – nonostante le resistenze del consorzio triestino tra caffettieri, invano rivoltosi per impedirlo, all'Imperialregia luogotenenza – divenendo subito il ritrovo della gioventù irredentista e anche un laboratorio di passaporti falsi per i patrioti antiaustriaci che volevano scappare in Italia. 

“Facile per quei giovanotti” borbottava il signor Pichler, ex Oberleutnant, sul fronte della Galizia durante le ecatombi del '16, “si divertivano un mondo con quel traffico di fotografie tagliate e incollate, era come tirare giù una di quelle maschere e mettersela in faccia, senza pensare che è lei che può tirarti nel buio e farti sparire, come quella volta, tanti di loro e di noi in Galizia e nel Carso. …


il San Marco è un vero Caffè periferia della storia contrassegnata dalla fedeltà conservatrice e dal pluralismo liberale dei suoi frequentatori .pseudo caffè sono quelli dove si accampa una unica tribù.
Ogni endogamia è asfittica. Al San Marco trionfa vitale e sanguigna, la varietà vecchi capitani di lungo corso, studenti che preparano esami e e studiano manovre amorose, scacchisti insensibili a ciò che succede intorno turisti tedeschi incuriositi dalle piccole targhe dedicate a piccole e grandi glorie letterarie già assidue a quei tavoli, silenziosi lettori di giornali, combriccole festose e inclini alla birra bavarese o al verduzzo, anziani grintosi che deprecano la nequizia dei tempi, saccenti contestatori, geni incompresi, qualche yuppie imbecille, tappi che saltano come salve d'onore specie quando il dott. Bradaschia, già diffidato per millantati crediti e interdetto dal tribunale.





Il caffè è un brusio di voci …. voci si levano si confondono le si sente alle proprie spalle avviandosi in fondo alla sala. Non è male riempire i fogli sotto le maschere che ridacchiano tra l'indifferenza della gente seduta intorno. Quel bonario disinteresse corregge il delirio di onnipotenza latente della scrittura che pretende di sistemare su pezzi di carta e di sdottorare sulla vita e sulla morte. Cosi la penna s'intinge volente o nolente in un inchiostro temperato con umiltà e ironia.



La paura bussa alla porta. La fede va ad aprire. Fuori non c'è nessuno.


Scrivere significa sapere di non essere nella Terra Promessa e di non potervi arrivare mai ma continuare tenacemente il cammino nella sua direzione, attraverso i deserto. Seduti al caffè si è in viaggio come in treno, non si può apporre a nulla una vanitosa impronta personale, non si è nessuno.

Claudio Magris Microcosmi

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