lunedì 4 febbraio 2013

Pistacchio


Era partito d'estate, alla fine della scuola, per fare vacanza, ma anche per crescere, come si dice "per fare esperienza". Tosto e fragrante, giovane imbelle lasciava la sua Randazzo, colmo di speranze e carico di aspettative. Avrebbe frequentato il bel mondo, via Veneto a Roma, Piazza della Libertà a Trieste l'avrebbero visto in allegra compagnia a Venezia per il festival e la Biennale, o in galleria a Milano, ma era parco e di cultura cattolica, quindi drink, aperitivo e la balneare Viareggio che tanto gli erano stati decantati gli lasciavano solo un senso di vuoto aumentandogli la nostalgia per la sua terra. Non l'avevano, questi svaghi continentali, convinto più di tanto, e nella sua peregrinazione nelle varie città, Napoli, Genova, Roma, Pietrasanta, Venezia, Stresa e infine Trieste, gli era rimasto un vuoto, una sensazione di incompletezza, era profondamente deluso. 

Lui focoso, serio, amava poco perdere tempo e dilettarsi con simili facezie,  preferiva meditare e lavorare per costruire un miglior futuro. Lui era certo che con serietà, moderazione Lui avrebbe lasciato il segno, era certo di meritare una folgorante carriera, d'altronde come dargli torto, non era forse il più bel Pistacchio della Sicilia, e quindi era dato credere, del mondo intero.

Gli aveva telefonato un giorno Sua madre e girato una allettante proposta, di unirsi alla D.C.T. (Dolci Compagnie Trinacria), ma lui aveva declinato, ben ché fosse un posto riservato solo alla migliore gioventù siciliana, la trovava squallida, provinciale, tronfia, stare con quei buzzurri dei Cannoli, la Ricotta e i Canditi, famiglie bene ma pur sempre di provincia, una ben misera soddisfazione, troppo poco, un lavoro ordinario che qualunque pistacchio con un po di carattere poteva fare. Lui no, aveva viaggiato studiato e visto quasi tutto il continente, meritava di meglio.


Comunque qualcosa era irrisolto, ancora gli sfuggiva. Non si sentiva affatto realizzato, si trovava in quella "linea d'ombra" che i comandanti di nave a vela tanto temevano. Fù così che, in Galleria a Milano un suo caro amico, tal Martini o Rossi, una sera seduti in un bar gli raccontò di aver sentito parlare bene della Bolscèvica Bologna, terra di comunisti ma anche di profonda cultura, dove,- dicevano altri - , era facile perdere la propria morale. Il nostro, battè di pìglio, e tronfio di orgoglio, si sfidò, disse all'amico che lui problemi di perdizione non ne aveva, che la sua condotta era oramai immutabile, da navigato lupo di mare quale era diventato, "che tanto aveva visto e tanto provato", nulla più lo avrebbe stupito o scalfito. 
Ma, disse poi - in realtà mentendo, perché invece ne era profondamente incuriosito -, che "una città vale l'altra e la lascivia o i vizi" di una città a lui non avrebbero fatto "ne caldo, ne freddo". 



Tant'è che lasciò Milano il giorno dopo, e se ne partì ... alla volta di Bologna. In realtà, soprattutto all'inizio la città non gli piacque un granché: Tortelloni boriosi, vecchi Lessi in Carrello, Pesanti Fritti, Lambrusco, una montagna di Squaccheroni che male legavano al suo essere dolce, e non ultimo "era piena di Culatelli" – "e che faccia tosta", ne andavano anche fieri, "venivano dalla provincia e sfacciati si vendevano anche piuttosto cari", "lui che razzista non era" ma ... certe cose non lo, - diciamo -, "convincevano" (così scrisse alla madre). Un giorno ormai stanco dei portici, e in procinto di ripartire ... un giorno di sole (in una terra così nebbiosa caso alquanto raro) ... La vide....

La luce del sole s'era infilata dal portico e la faceva brillare, la mostrava lucente, un angelo. Il silenzio che si creò, per qualche oscura coincidenza, aumentò di molto il suo stupore, era li davanti a lui che rideva e scherzava con tanti maschi anche stranieri, non ebbe occhi che per Lei.
Perse il sonno e l'allegria, la fede e altro ancora. Non riusciva più a dormire e per più notti, passo in veglia sospirando e fremendo, ma lei era sempre circondata da altri. "Come faccio" - pensava il misero – "come l'avvicino". Pensava e fremeva, sospirava e sognava. Dopo diversi giorni di appostamenti e inseguimenti ... finalmente se la trovò davanti, sola.

Lei gli sorrise, e per un nano secondo, un momento, un breve momento la voluttuosità di quello sguardo e le promesse che offrivano, un morbido corpo su cui tuffarsi, il suo profumo inebriante, lo fecero completamente impazzire.
Perse totalmente e definitivamente la testa, fu amore, 

Amore vero, come si dice con la A maiuscola. 

Ma, ahi noi, come tutti gli amori veri fu un amore tragico. Lei l'aveva visto "quel bel terrone impettito e muscoloso", ma i suoi pensieri peccaminosi da donna vissuta, contrastavano e non poco, con quelli puri e possessivi del pistacchio. Lui la corteggiò, e lei dimostrò di accettare la sua corte.


Lui le scrisse lettere d'amore, le portò regali, le chiese di uscire di andare nei  bar. Ma, Lei era golosa, più adatta ai picnic e all'osteria, amava il popolo le basse compagnie,i lavoratori con quelle mani forti, zozze, callose, Adorava la forza, il maschio selvaggio, il sudore e la fatica. 
Lui era troppo innamorato e dolce per i suoi gusti, e Lei continuò a frequentare altri oltre che Lui. 
Fu cosi che dopo tanto logorarsi e su consiglio di un culatello, pistacchio ormai verde di gelosia della sin troppo facile e maiala Bolognese Mortadella, dopo tanti falliti approcci, le si offrì, nudo. 

Il piccolo pistacchio perse così la sua scorza da maschio latino, la sua imperturbabilità e la sua leggera ma dura, pelle croccante. Quale sfortunato amore di un Siciliano abituato ai sarcastici Capperi ai Dolcissimi Zibbibi, ai miti consigli degli anziani Marsala, innamorato della grande Mortadella, una nordica grassa e ridanciana Bologna. Grassa, coi suoi, di cattivo gusto, pallini bianchi, che con lui inoltre rivaleggiavano in dolcezza. Lei così vivace, dolce, amabile e fresca, Lei era per Lui il ricco Nord freddo e nebbioso, ma anche solare e divertente, leggera nella sua grassezza, infinitamente morbida, e a tutti simpatica nel suo colesterolo, e nella sua poca spocchia. Nulla gli rimase se non farsi abbracciare da cotanta eccessiva trasbordante ricchezza, e resosi anche lui Maiale, si perse nell'incanto dei profumi di pepe e altre spezie, tra conservanti, che sono come la plastica nel salotto buono. Infine abbracciato alla sua grassa compagna, traviato nel vorticoso giro dalla lussuria, fini in un abbraccio fatale, in un magro mezzodì, con una infima, pecoreccia e calda, Pizza Bianca (anche lei emigrante, napoletana ma questa è una altra storia).

Nell'estasi, di un morso operaio.

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