martedì 15 novembre 2011

Il confine di Jean Morris


Jean Morris: ricordo di aver affrontato il confine una domenica sera mentre ero in viaggio verso il Montenegro, al tempo della guerra fredda, quando la Jugoslavia di Tito era un pertugio nella cortina di ferro. Centinaia di italiani dell'Istria arrivavano a Trieste nei fine settimana per fare acquisti o andare atrovare parenti all'ora del rientro le loro auto si avviavano verso il valico incolonnandosi in lunghe lunghissime file: i motori pulsavano, le vetture avanzavano di qualche spanna poi si arrestavano, in silenzio, mentre scendeva l'oscurità, in attesa di affrontare la sfida dei gendarmi e dei doganieri dela repubblica federativa socialista. Per gli istriani si trattava di una cosa abituale. Qualcuno aveva allestito un posto di ristoro sul pianale dell'autocarro, dove si offrivano panini e caffè. Alla fine giunsi anch'io al posto di frontiera. L'illuminazione era fioca. Un funzionario con la stella rossa sul berretto sul berretto fece segno di volere il mio passaporto, senza proferire parola, ed esaminò lentamente ogni pagina.poi me la restitui, senza un sorriso e senza muovere un solo muscolo della faccia, fissandomi tetro. “su con la vita” azzardai. “Faccia buon viaggio” rispose, e mi fece cenno di andare....

Nella memoria dei goriziani uno dei simboli più evidenti della guerra fredda fu la stella rossa collocata sul frontone del palazzo della stazione, accompagnata dalla scritta in sloveno “Mi gradimo socializem” «Noi costruiamo il socialismo». A seguito dell' indipendenza slovena, venne dapprima addobbata come una stella cometa in occasione del Natale, e successivamente rimossa, ed oggi è conservata all'interno della stazione.


Don Giuseppe:
Nella sua chiesa don Giuseppe Bandera conserva due oggetti decisamente inusuali: “fanno parte della nostra storia” osserva. Negli anni trenta a memoria della vecchia dominazione e a celebrazione del nuovo, Venezia regala a Caisole un leone di San Marco che viene collocato in pompa magna su di un piedistallo. Finita la guerra inizia il ricordo del parroco “ Nel 1945 i partigiani hanno rotto il naso e un ala al leone, lo hanno buttato giù dal piedistallo e sepolto in un fossa”. La vicenda a questo punto assume un po' i contorni di una disputa tra don Camillo e Peppone, anche se, un prete che si contrappone al potere politico rischia molto di più in jugoslavia che non nell' Italia democristiana.- “dopo parecchi anni vedo gli operai che stanno rompendo il selciato. Mi dicono che devono ritirar fuori il leone. Chiedo dove lo devono mettere e loro non rispondono. Arriva il sindaco gli chiedo dove vuole mettere il leone, neanche lui risponde. Allora gli dico lo tengo io mettetelo in chiesa”. Cambiano i tempi e cambiano i simboli, nel 1945 al posto del leone era stata collocata una stella rossa, a onore e gloria della jugoslavia comunista. Un simbolo del quale il nuovo regime croato si vuole liberare in fretta. Cosi nel 1991 anche la stella viene rimossa. Don Giuseppe è sempre li, rivede la scena di quarantacinque anni prima e chiede agli operai dove intendono mettere la stella. La buttiamo via gli rispondono.”La tengo io. Così anche la stella entra in chiesa. La storia è storpiata tutti la tirano a sé noi siamo una terra di confine dove uno ti dice che sei italiano e non ti senti, uno ti dice che sei croato e non ti senti, a me va bene. Io sono prete e gli dico di essere cittadino del mondo”.
Alessandro Marzio Magno (Il leone di Lissa)

giovedì 10 novembre 2011

Ho sentito un profumo …


era di mare di mia nonna e di casa … mi ha fatto pensare a un piccolo porticciolo, a Rumiz al vento di terra a pinete a case in pietra e a una casa, non è una grande casa, non è neanche la mia, non ci sono mai stato. È stato un profumo in un giorno buio come sono tanti tra smog e operai del gas, tra gente che racconta scemenze e telefonate attese e mai arrivate. Torquemada addio, lasciati andare non capirà Torquemada non ti vuole ascoltare, lasciati andare. Dove sei? Chi sei? Che fai? Forse è perchè ho avuto una settimana terribile, forse è il sonno, la bulimia di un buon odore, forse è la settimana di raffreddore, l'acqua – tanta - che ho preso ieri, la terribile sensazione di essere quasi un morto, che non mi fa scrivere, forse sono le scommesse che non ho mai vinto, ma una casa che non posso avere perchè non è la mia. Un profumo che mi fa pensare a mio figlio e a che diavolo di odori sentirà lui domani. Odori che mi piacciono perchè mi mostrano una casa. Una casa piccola, sporca, con gli “scuri” chiusi e con le battute rammendate, il legno morso dalla salsedine, so dov'è so cos'è, ha i materassi di mais, la polvere degli anni, non l'abita nessuno da anni. Ma sono certo di sapere com'è fatta. Apro gli occhi sono davanti ad un bar, sto pensando a come mi sveglierò domani mattina alle sei, sudato e sempre in ritardo, eppure non è un sogno, lo vedo e mi piace. Io Odoro e Adoro quel posto. So dov'è, non potrò andarci mai, ne se riuscissi ad andare non potrei viverci, è un posto di grandi marinai e di vecchie signore che attendono pazienti chi non ritorna, è un isola incantata per quanto gli slavi la chiamino “l'isola dei Grifoni”. È una casa al centro di due isole, dove un antiquario mi chiese un a cifra spropositata per un orologio che non ho. Non ho una casa, non ho neanche più il figlio, non ho l'orologio, ne saprei dirti di che cosa sa quest'odore. 
Il tempo passa ed è stato feroce, passa se ne frega e affievolisce anche l'emozione, uccide la passione, cancella le promesse...  
ti prego fammelo sentire ancora...” non c'è ritorno, non la vedo, non la sento più. 
Mi parla, dice che l'ha fatto fare da tizio e dalla sorella, che lo usa da anni, ed una composizione di … ma non è più la stessa cosa, è un profumo in fondo.
Ma la casa c'è, l'ho vista
Scusa devo andare.           

martedì 27 settembre 2011

La Marcia della Pace 2011

ombrello?
Dei colleghi di Solo alla marcia della Pace 2011
Solo partecipa alla marcia della Pace 2011
Oltre 25 chilometri (ed è solo l'andata) a piedi una domenica di settembre  può sembrare uno sport estremo. Vedere tantissimi scout, emigranti e missionari e altre 200 mila persone è una bella sensazione. Solo ha partecipato con gioia a questa Marcia della Pace. C'era di tutto, bella gente, professionisti, insegnanti e scolaresche, sindacalisti, operai e padroni del vapore... Le sue impressioni ? Mi ha chiesto che senso ha fare la guerra? Gli ho detto che non lo so. In fondo in duecentomila e più assieme si stava benone, forse non c'erano tra di noi che esseri umani, ogni razza e religione era rappresentata, con diverse istanze, tutte valide e in fondo erano sempre le stesse: giustizia, libertà, dignità. Basta poco in fondo la guerra è figlia dell'egoismo. Solo è rimasto perplesso. A pensarci bene anche io.
  

sabato 24 settembre 2011

Romanità "Nomi in rubrica"

- Beh haji capito chi è che te dico?
- No, famme capi, stavi a dì ? , cioè. 
- Dico de er Prugna, o come oh chiami te, quello che giocava a pallone coo  Francesco er Macina... 
- Prugna?. Ma non se chiamavaaaa,  cosi, aspè ... forse ho capito
- E daje, è er fratello de Tira&molla, sai  quello che lavora dar Pertica a Fiumicino
- Ah,  mo' ho capito, c'è s'ho annato a magnà l'arltra sera, co Sandro
- E che t'ha fatto ?
- Un botto de pesce e dei gamberoni grossi come la cosce de Nela 
- E quanto scuce
- Beh sai semo tra amici e c'era pure Sandrino, na piotta c'ha levato, ma se ce vai così liscio e busso pure due tè eh leva, ma non sai che magnata
- Allora te dicevo co' er Prugna e Gigi stavamo annà da...  
-Ho capito chi mo m'è venuto: se chiama Giovanni Belli ?  
- Bravo Giovanni Belli ? Fammelo segna sur telefonino 
- See e quanno te 'o ricordi
- Beh che c'è vo alla riga ufficio me segno "er Prugna"


breve dizionario per non romani :
Sebino Nela calciatore della Roma  
Piotta unità di misura per centinaia
scuce - leva - estorce
tira e molla soprannome - indeciso - elastico
pertica - sellerone - pennellone - spilungone 

giovedì 15 settembre 2011

ll MIO BIO. Parte prima mio cuggggino


Non posso arrivare a concepire la pratica vegetariana. Io sono profondamente carnivoro. Ciò non toglie che ho un profondo rispetto della natura, e trovo inconcepibile lo scarto. Sono favorevole al Bio, che è in fondo più semplice per me che divenire vegetariano rinunciando alla carne.
Alcuni confondono le cose: il vegetariano è quell'individuo che del tutto o in parte non si nutre di prodotti derivati dal mondo animale, vivi o morti che siano, anche se tra loro alcuni (buddisti compresi) si nutrono di pesce e di uova. Ci sono poi i macrobiotici che hanno dalla loro una insipida (al gusto) complessa filosofia alimentare. Infine i vegani, che sono i più radicali e intransigenti, arrivano addirittura a non usare la lana, perché prodotta dallo sfruttamento delle pecore. Anche se utilizzando vestiario prodotto nel far est asiatico spesso sfruttando (inconsapevolmente sia chiaro) un altro animale cioè l'uomo. Comunque sono teorie degne di rispetto e meno dannose degli esperimenti nucleari, che godono da noi moderni consumatori sempre più adepti e simpatizzanti.
Il Bio è il prodotto dalla terra, cioè biologico, naturale. E fin qua...
Nei tre negozi specializzati in Bio in cui sono entrato ho trovato invece delle cose che mi hanno lasciato perplesso: Il Tofu (una cosa per me orribile) buono a mio avviso per kung fu panda, o le bistecche di Soia altra porcheria che poco ha a che vedere con la terra, mi domando ma la Soia non è un baccello ?, e altre stramberie quali le brocche con il filtro per l'acqua ricche di nitrati (sulle quali non mi esprimo, spero riesca la magistratura a toglierle dal mercato), il tè giapponese coi legnetti, il pane di segale e avena e non so quale altro cereale e altre cosucce che con un contadino non so che c'entrino.
Tutte comunque molto lontane dalla mia cultura alimentare.
Ho una idea personale del Bio :
Mio nonno era coltivatore, coltivava un piccolo terreno con metodi arcaici , quindi presumo Bio. Faceva pochi trattamenti quali l'acqua ramata e la bordolese. Possedeva del bestiame, cavalli e mucche che producevano credo con piacere lo stabbio (la cacca), inoltre pascolavano in giro svariate galline (libere in genere) che azotavano il terreno. Con tutta questa cacca si concimavano pomodori e altre cose dell'orto che crescevano stortignaccole ma saporite. Si raccoglieva la frutta dagli alberi litigando con vespe e uccelli. Si mettevano trappole per lepri e fagiani. Le bestie mangiavano parte di ciò che producevano erba e fieno, i maiali scarti dalla mensa umana e il sottobosco se potevano. Le bestie così davano all'uomo questo potere di giudice pianificatore. L'uomo alleva coltiva e mangia. Non era una cattiveria era una necessità, una norma di sopravvivenza (civile). 

Tutti o quasi abbiamo dei cugini. Il mio era ed è più grande di me di circa tre anni. Egli possedeva un fucile ad aria compressa, con il quale sparava per diletto nel sedere delle galline, per farle saltare... che salti tre anche quattro metri sembrava volassero. I bambini si sa sono piuttosto crudeli nei loro giochi. Chiedo di sparare anche io. “guarda che devi prenderla nel sedere” mi dice passandomi il fucile. Miro bene al sederone del gallinaccio e sparo, BANG. La gallina anziché saltare, si volta ha un sussulto, si gira compie una piroetta e con un breve suono stridulo stramazza al suolo. Silenzio totale, TOTALE, nulla nemmeno un trattore, una motoretta, un aereo, un dannato vuoto, una pausa del mondo. Mio nonno esce in cortile vede il pollo steso a terra, morto. Ci chiama “chi è stato?”. Mio cugino, solidale come lo sono tutti i bambini, coerente col giuramento di sangue che mi aveva imposto (e che mi impone ancora oggi), non ha dubbi. Mi indica con il dito indice e dice : “LUI”. Mio nonno ha gli occhi infuocati è vagamente incazzato, non bestemmia solo perché non l'ha mai fatto e non vuole cominciare per colpa mia, ma temo mi dia un ceffone con quella palanca ruvida e callosa che corrisponde alla sua mano.
Invece mi guarda sogghigna:”vieni qua, sei stato tu ?” (primo esercizio di retorica). E' ovvio, il cugino è un pentito, mi ha denunciato, ho il fucile in mano, anche se non è fumante, è comunque un fucile, che dire “si mi spiace pensavo...” attendo una punizione...
Nonno non è sconvolto, non urla, è calmo (troppo) e mi dice: “bene è ora che prepari la cena”. Tutto qua ? Pensai “una pacchia”.
Non sapevo cosa intendesse con “cucini tu”.
In breve: sobbollire a sessanta gradi, spiumare la gallina, togliere le interiora, (i fegatelli e alcune interiora da parte vanno cucinate con l'aceto e mangiate col pane vecchio), metà in brodo compresa la cresta, il resto in forno con patate. L'avanzo pasticciato o in polpette o in insalata. E ho dovuto mangiarlo tutto e da solo. I polli di campagna, soprattutto quelli che razzolano il terreno sono duri grossi e interminabili se mangiati per punizione. Il puzzo delle piume bagnate e bruciate, le interiora, il sangue sulle mani, mi hanno lasciato la nausea verso il pollo per anni. Ci misi due giorni a finirlo , con mio nonno che aspettava e rideva.
Alla fine mi disse:”l'hai uccisa inutilmente non va sprecata”. “la mangi tutta” era la minaccia. Tutta è oggi la mia regola.



Haute Cousine la moda degli Chef


aglio olio e peperoncino
Quando decidete di provare una ricetta, vige una regola mai scritta - almeno che io sappia – sino ad ora, ma che è terribilmente efficace nel manifestarsi: “la grande cucina la fanno solo i Grandi Chef”, e non sempre riesce bene neanche a loro. Magari avete deciso di fare colpo su una ragazza simpatica e carina, o sul vostro/a collega d'ufficio, sul capo o sul senatore che raccomanderà vostro figlio, magari l'intento è quello di sperimentare e prendersi una rivincita sulle ultime tre bastonate al ristorante, care quanto inutili.

Al vostro primo tentativo di alta cucina casalinga: ignari di ciò che vi attende in seguito, leggerete dal manuale del grande chef la ricetta, le perfette dosi e le modalità di cottura. Farete una prova non impegnativa con un caro amico, con il vostro, la vostra compagna, financo con Vostra Madre (che comunque sia farà la faccia disgustata). Leggete il libro del Grande Maestro, escluderete per buonsenso le ricette che vi suggeriscono sale pakistano rosa vermiglio, cotture sottovuoto, abbattitori, carta lucido A3, trapani e punte da 12, disossamenti a freddo, pescato fresco del Caspio etc. etc., cioè tutto ciò che non è reperibile sul mercato o nello spazio di 100 chilometri. Passate così alla fase due, come indicato da Alan Bay (Cuochi si Diventa 01), accumulate sul banco in bell'ordine tutto il materiale necessario: Sale, pepe, spezie, cibario, etc.
Vi renderete conto solo in quel momento che non avete sufficienti coltelli o pentole idonee (suggerisco a questo punto di cambiare ricetta) ma se insistete allora con i dovuti accorgimenti potete comunque sperimentare:
Pag 39 " I Piccoli pesci azzurri del Mar della Cina pescati da Mao Tze Tung in persona, con glassa di pomodorini del Vesuvio colti nell'esatta posizione dell'eruzione fatale a Plinio, bagnati in noccioli d'oliva spremute dai piedi scalzi di una vestale celtica (o di un ciuchino sardo), con cipolle rigorosamente di Tropea mantecate alla moda di Pirro, ingraziosite da una setacciata di fermentazione di grano e acqua cotte con le fascine di potatura di ulivi centenari e tostate in un forno romano (pane grattato), gioioso ma rustico (finocchio selvatico), piccolo rettile sputafuoco (dragoncello), prezzemolo, rosmarino tutti rigorosamente colti all'imbrunire, bagnati da un vino biodinamico fermentato al naturale senza controllo della temperatura (aceto) - N.b. se arrivano alla spruzzata di balsamico buttate direttamente il libro, a tutto c'è un limite -.
Cioè un tortino di alici o un saor.
Sia mai, venga poggiato su di un letto di rucola. Indipendentemente da questa che sembra la ricetta più semplice di alta cucina (è nel menù solo per citarne un paio di Agata e Romeo, e della Ragnatela di Dolo) a seconda delle varianti a voi gradite. Tronfi, sicuri , motivati, concentrati al massimo realizzerete un CAPOLAVORO assoluto, chiunque lo assaggerà sarà felice, (compresa vostra madre). Voi fieri,sboroni penserete bene di riproporlo alla cena importante.
Qui si manifesta la maledizione dell'alta cucina. Alla seconda volta : forse per colpa dell'ingrediente mancante, della mancata pesatura del sale, del fatto che non sono pescate da Mao Tze Tung in persona, ma da un semplice monaco Battista Tibetano Copto, forse per l'eccesso di Prosecco che vi siete sparati mentre cucinavate, della telefonata dell'amica single e disperata, o del cane che abbaia, qualsiasi sia la vostra scusa nessuno, dico nessuno, mangerà il vostro tortino. E se lo mangeranno sarà orrendo.
Tutti in compenso si riempiranno dei fegatelli avanzati dalla sera prima messi a tavola riscaldati non si sa mai....
Il commento “buoni 'sti fegatelli l'hai presi in rosticceria ?”
...sarà il colpo definitivo alla vostra autostima.
Non c'è spalla su cui piangere è colpa vostra.
Un piatto riesce bene solo quando a forza di farlo non sapreste neanche scrivere la ricetta, lo fate e basta. Lo fate così: aprite il frigo e prendete le cose che stanno scadendo,che avete comprato perché vi piacevano al mercato, le cucinate e le insaporite con la speranza che vi ricordino il sapore dei piatti di vostra nonna. Servite quelli: senza letti di rucola, spruzzate di balsamico, salvo non siate di Modena, alla moda di Apicio, o di Carème, fate quello che sapete fare, e fatelo con amore, così la risposta sui fegatelli sarebbe:
provace a trovarli fatti così buoni, Vissani m'ha chiesto la ricetta, ma je l'ho negata ”. e ciccia.             

sabato 27 agosto 2011

il bar nel mare


Mi sono trovato a pensare l'osteria perfetta. Fanno bene gli inglesi a definire il bar o il club una Pubblic house, PUB appunto, un luogo d'incontro: aperto e accogliente come sarebbe la casa di un amico. Mario Soldati, durante i suoi viaggi ha sempre cercato un'osteria (senza hacca come Buzzi) con la speranza di trovarvi annesso il campo di bocce. Buzzi stesso cercava nel mentre il luogo dell'armonia e la buona compagnia. Qualche giorno fa è morto Gianni, del caffè del banco, un grande, scorbutico, toscanaccio prestato per caso a Perugia, un barman appassionato e colto, lo ricordo con piacere, purtroppo mi mancherà.
Che cosa è che fa un bar? Potrei dire che la discriminante prima è la posizione: Rosati a Piazza del Popolo, Sant'Eustachio al Senato, la terrazza del bar di un Hotel di Amalfi, l'Harry's di Venezia o Cipriani, l'Hotel de Russie … no, non credo, se è vero che ho frequentato bar per vicinanza e facilità, questi non sono i bar come li intendo io. Qui se anche sono andato, sono stato turista, avventore, cliente casuale, non ho interagito, almeno io in questi posti di solito consumo, pago e tanto basta. Una seconda discriminante, sono i clienti. Quello che i dementi del marketing definiscono il target. Chi frequenta “questo” bar, mi ci trovo bene? Mi sopportano? Un Bar serio ha una propria identità, dei personaggi fissi che lo animano o che vi transitano. Dei rapporti tra gestore e avventore consolidati nel tempo, delle confessioni e delle storie sue che si sviluppano nel tempo, delle trame, vite e racconti più o meno veri, più o meno interessanti. È talmente ovvio che Stefano Benni ne ha fatto addirittura un libro e che Claudio Magris lo usa come studio, salotto sedendo fisso al Caffè Degli Specchi. A questo punto la domanda è: come riconosco il mio? Passo primo. Com'è arredato: minimalista, chic, zen, paradossale, coloratissimo, avanti nel tempo con residui anni 80? il mio è semplice spartano al limite del bicchiere col calcare residuo, comodo, caldo, accogliente, senza tempo, magari col giornale da leggere, possibilmente non il corriere dello sport, o non solo quello. Passo secondo per quale motivo ci vado ? Per incontrare altre persone o comprare il latte ?. Mi piace pensare di essere in grado alla terza volta che entro, di poter salutare almeno due clienti oltre che il proprietario. Ovvio che se il barista non ti saluta è meglio cambiare il bar (Lui il mestiere). 
I rapporti di questo genere alle volte appaiono superficiali, in realtà succede ed è successo, si dimostrano profondi. Spesso in quel gruppo di persone i rapporti si confondono e nascono amicizie, alle volte anche storie complesse. Alcuni esempi dei bar: ovviamente cambiati nel tempo, il Cirrosy's di Michele F. e Roberto C. è stato uno dei primi, il Bar a Book di Fabiola di Vittorio, la Pollarola, lo Zoe bar di via dei Falisci, il baretto di Tor Millina con Fabio e il mitico Ivano, il Bon Bock di Stefano e i due Sandro, il bar di Gusto con Pino al bancone ... e qui mi si accende la lampadina … Ecco cosa fa un bar, non il bar ma l'oste, l'armonia del personale e la compagnia che ci si trova. È un momento magico che dura solo qualche tempo, entri nel bar e ti senti a casa gli altri ti accolgono e nascono rapporti umani, altro non c'è.
Rifugio di peccatori, incontro tra persone e scambi.
Grazie Gianni per avermi accolto a casa tua, mi mancherai.