mercoledì 19 marzo 2014

Godzi e FaHrenheit 451.

Godzilla sogna. 
In sogno gli si presenta Dio, tutto coperto di squame, sputando fuoco. Dice a Godzilla che si vergogna di lui. Dice che dovrebbe fare di meglio. 
Godzilla si sveglia madido di sudore.
Nella stanza non c'è nessuno.
Godzilla si sente in colpa. Ha vaghi ricordi di essersi svegliato e di essere uscito a distruggere una parte della città. S'è ubriacato come una zucchina, ma non riesce a ricordare tatto quel che ha fatto. 

Forse lo leggerà sui giornali. Si accorge di puzzare di legna bruciata e plastica fusa. C'è roba appiccicosa tra i suoi alluci, e ha il vago sospetto che non si tratti di sapone.
Si vuole ammazzare. Va a cercare la sua pistola, ma è troppo ubriaco per trovarla. Sviene sul pavimento. Questa volta sogna il diavolo. Somiglia a Dio, solo che ha un sopracciglio che gli passa su entrambi gli occhi. Il diavolo dice che è venuto a prendere Godzilla.
Godzilla si lamenta e lotta. Sogna di alzarsi e di tirare pugni al diavolo, di soffiare inutilmente fuoco contro di lui.
Il giorno dopo Godzilla si alza tardi, devastato dalla sbronza. Ricorda il sogno. Telefona alla fonderia e si dà malato. Passa la maggior parte della giornata a dormire. La sera, legge quello che ha combinato sui giornali. Ha fatto dei danni seri. Ha incenerito una grossa area della città. C'è una foto molto nitida di lui che stacca la testa di una donna a morsi.
Quella sera riceve una chiamata dal direttore della fabbrica. Il direttore ha letto il giornale. Dice a Godzilla che è licenziato.
Godzilla in riabilitazione Joe.  R.  Lansdale 




“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato,  in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero,  o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere, sta nel tocco, diceva.


Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà  per tutta una vita”. 

Offri al popolo gare che si possano vincere ricordando le parole di canzoni molto popolari, o il nome delle capitali dei vari Stati dell'Unione o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l'anno passato.
Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di "fatti" al punto che non si possano più muovere tanto son pieni, ma sicuri d'essere "veramente bene informati".
Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno.
E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi.
Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch'è meglio restino dove si trovano.

Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza.

                                     Fahrenheit 451 di Ray Bradbury 


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