domenica 25 marzo 2012

"SUI ROMANI" GUIDO PIOVENE 1957


Staccare un romano da Roma è un impresa quasi impossibile.
Tra tutti i popoli è il più popolo, il popolo per antonomasia, il popolo nel senso antico, quello che meno accetta di cambiare con altre le sue caratteristiche popolari, ed è il più restio ad imborghesirsi. Vivace divertente, più amante della vita che delle ideologie. Con Roma è familiare perciò è il più immune alla retorica. Ed è il mettere a livello familiare una città che tutti chiamano eterna, con le sue pietre con la sua storia, gli toglie anche la stima d'ogni altra specie di grandezza. Fra tutti i popoli è quello che ammira meno. L'ammirazione nè un sentimento che ha corso molto breve e superficiale a Roma; il sentimento vero dei romani è livellatore in base alle cose semplici della natura e della vita. Non ammira i potenti nella forza e nell'intelletto, sapendo che passano sempre ma proprio perché non crede in nessuno, essendo scettico e realista sa però circondare quelli di turno se sono potenti davvero, e finché durano, di premure e ossequio. L'ossequio è disponibile l'ammirazione mai. In nessuna città al mondo la potenza è così poco stimata, ma in nessun posto al mondo appartenere al novero dei potenti giova di più. Invece poco giova di voler essere qualcuno il volersi distinguere senza titolo gradi o cariche. La mancanza di ammirazione dei romani per i loro simili si realizza in maniera esplicita. Da questi doppi sentimenti, nasce tra il popolo e i potenti un rapporto misto, servizievole ed insieme confidenziale. La tendenza all'ammirazione si accompagna per il solito alla fede e alla virtù. Essendo poco ammiratore, il popolo romano buono ma non virtuoso, e ignora il moralismo. Il suo profondo istinto è quello di ammettere tutto l'umano ad ogni modo di astenersi da qualsiasi condanna. E la società romana, in tutti i ceti è quella che esclude meno la più incapace di ostracismi per ragioni morali la più pronta alle assoluzioni. Scandali di stupefacenti ed altro, campagne contro la speculazione, denunce interessano come dei racconti che poco commuovono, infatti esaurito il loro corso giornalistico si afflosciano rapidamente.
La filosofia romana è non pensare troppo lo scopo della vita è vivere. È il popolo romano, dicevo, è quello che più rifiuta di imborghesirsi. Vive in compagnia perpetua confidenziale irriverente corre subito al Tu e ai nomignoli, le qualità che onoro sono popolaresche, onora chi è sano chi è forte chi chi può mangiare e bere senza riguardi, chi ama la compagnia e sa stare allo scherzo, ma sa anche difendersi dallo scherzo, ribattere e picchiare il pugno sul tavolo. Onora poi chi sa parlare, non nel senso degli intellettuali, ma nel senso sociale e pratico del botta e risposta pronto e arguto. Ch'è una prova di forza. Vuole che l'uomo sia sincero senza finzioni, franco e senza peli sulla lingua, mantenga fede all'amicizia e non vi manchi per nessuna ragione, né un contrasto di idee né un giudizio morale. Il suo linguaggio corrisponde al carattere è nudo esplicito sboccato. É buono della specie di bontà spietata collegata alla mancanza di ammirazione che aborre la superiorità e distrugge chi emerge, ma poi è pronto a soccorrerlo con lo slancio del cuore. Del resto è la caratteristica media di tutto il popolo italiano. Con questi elementi si può fare un ritratto lusinghiero o un ritratto ostile, dipende dall'umore e dalla mentalità di chi guarda. Ma nessuno potrà negargli d'essere una realtà molto concreta e irriducibile.

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