giovedì 10 aprile 2014

Dialogoi sui codici a barre


La difficoltà di entrare in un supermercato, me la sono spiegata con il fatto che non riesco più a vedere una connessione logica tra cibo e tavola. 
La necessità, la piacevolezza dell'oggetto “alimento” non derivano più dalla fonte prima “la natura” l'agreste campo, sono indotti, invece, dalla figura rappresentata sulla confezione. 
Quindi l'acquisto del prodotto è indotto dall'immagine che questi ci mostra. Colorata, vivace, magnifica strasbordante di promesse. 


Com'è ovvio, l'immagine è eterea, fallace, apparente, cioè non si trasforma mai in realtà, salvo nel momento del conto, cioè nella commisurazione economica dell'acquisto (la fila alle casse). È la delusione di una promessa non mantenuta di un mondo migliore, dove la panna è perfettamente bianca, l'hamburger non brucia mai, dove la cucina necessita di quattro minuti attenzione al massimo, dove si è indotti a pensare che sia inutile mangiare e che bisogna dedicarsi all'edonismo e al divenire più belli e pimpanti, che invece cozza con la cruda realtà di prodotti creati ad arte pregni di sofisticazioni, di immagini e di rimandi esotici, che si materializzano in un piatto di portata precotto in perfetto stile “mensa aziendale e/o ospedaliera”, che ci toglie uno dei piaceri della vita: il desco e la compagnia.

Un altro aspetto curioso del supermercato è la promiscuità delle merci, in una euforia di consumo convivono tranquillamente arredamento,cibo, piccola ferramenta, merceria, bicchieri, cassette per registratori audio/video, pane in cassetta e altro ancora. 

Tutti ordinati in file di 20 metri per due piuttosto anonime, salvo per una scritta che troneggia all'inizio della stessa, come per la statale: pasta km2, prossima uscita Biscotti, rallentare code nello scatolame, Dio c'è. 



Oggetti che, anche se trovano una degna giustificazione nel packaging, nascondono, se osservati con attenzione, un umanità degna del modello unico del ministero delle finanze. Portano sul retro etichettato tra i codici a barre, le scritte d'uso per lo più incomprensibili, minacciose per alcuni : e240, e330, leticina di soia, antiossidanti, riga f redditi da fabbricati, aromi naturali e no, e infine il fatidico “da consumarsi preferibilmente entro il” , ovviamente dall'altra parte. La data è spesso più vicina al Giubileo che alla tavola. 
In queste pile di merci io mi perdo dispero, mi confondo, dimentico cosa sono venuto a fare, cosa volevo in origine; rimango affascinato dalle tecniche di vendita, dimentico la provenienza dei prodotti esposti, la trasformazione che hanno subito di alcuni mi capita di non saperne neanche lo scopo pratico.

Rifletto. Trovo fantastico il fatto che ci nutriamo di Mais e dei suoi derivati, con odore e aroma di ammoniaca, di cui sono intrisi quasi tutti (l'85%) dei prodotti del banco, o con buste di insalata, tanto vicine alla fragranza della plastica da portarti a pensare di masticare le buste stesse, o delle puree in candido alluminio dal vago sapore di ospedale, dov'è la patata ?. Osservo il tetrapack, triste nel contenitore di latte UHT tutti, indipendentemente dalla marca, anonimi e insapori; il caffè rigorosamente “più buono”, ectoplasmi di tonni stressati che si tagliano con grissini, biscotti dalle forme di astronavi, missili e stelle, al sapore di crusca di cereali e di aloe Vera, ma raramente di biscotto. Le conseguenze di questa mancanza profonda di naturalezza fa sì che bambini di cinque anni credano che i polli abbiano quattro zampe. 
(N.b. il pollo è un bipede). 


Non avendo esseri umani con cui confrontarmi nel supermercato, nell'autostrada alimentare, dove il telefonino diverrà il prossimo telepass, dove nessuno ti risponde alla semplice domanda: che diavolo è la leticina di soia ?”. il cassiere casellante non è in grado di garantire che se fa schifo te lo cambiano. 

Ho parlato con gli oggetti nello scaffale. Ho dato del tu al barattolo, litigo di politica con la maizena, mi faccio raccontare dal prosciutto com'è e dov'è San Daniele del Friuli. 
Loro non mi hanno risposto, ho sorriso così anche nel supermercato. 

Se e quando vedete a supermercato qualcuno dialogare col barattolo, non vi preoccupate, nell'era della comunicazione questo è almeno per me possibile. 
Potrebbe essere almeno per me una soluzione per la Gda creare prodotti parlanti, movibili auto promuoventi. Così mentre tornate a casa i pomodori vi raccontano del Vesuvio, vi forniscono anedotti culturali da scaricare con Le App., l'abbinamento col vino, e il metodo adatto a cucinarli. 

In fondo che vi frega di pensare?. 
Ci pensa il marketing per tutti noi. 





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